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Sostenibilità vs. Compliance: quando la comunicazione ambientale diventa un rischio legale

11 dic 2025

La sostenibilità ambientale non è più un optional, ma una leva strategica cruciale per intercettare i clienti di domani. Tuttavia, comunicare il proprio impegno può essere un esercizio ad alto rischio.

I Green Claims espongono le aziende a un rischio sempre più concreto: il greenwashing. Un’immagine non accurata o ingannevole sui benefici ambientali tradisce la fiducia del cliente, e le recenti evoluzioni normative e giurisprudenziali, segnano la fine delle comunicazioni ambientali vaghe. 

L'onestà non basta più, serve la prova. Vediamo subito come trasformare gli ostacoli in opportunità, assicurando che gli sforzi aziendali in sostenibilità siano protetti, credibili e a norma. 

Dalla Promessa alla Prova: Perché il Green Marketing è in una Zona a Rischio. 

La comunicazione aziendale sulla sostenibilità è un processo che si sviluppa in un circolo virtuoso (o vizioso): se da un lato i consumatori richiedono sempre più trasparenza e azioni concrete in linea con le dichiarazioni, dall'altro le aziende sfruttano i canali pubblicitari per indirizzare le scelte di acquisto verso i propri prodotti green

In questo contesto, il Green Marketing è diventata la risposta all’interesse diffuso verso la sostenibilità ambientale. Ogni attività di comunicazione è elaborata e realizzata con lo scopo di coinvolgere e orientare il consumatore verso un nuovo modo di consumare e preferire business eco-sostenibili. Claims ambientali come ‘biodegradabile’, ‘100 % riciclabile’ o ‘eco-friendly’ sono oggi strumenti di marketing fondamentali, utilizzati per incrementare vendite e appeal sfruttando la percezione che un prodotto rispettoso dell'ambiente sia intrinsecamente superiore. 

È proprio in questa interazione che si annida il rischio operativo. 

 Il Precedente Giuridico: I Claims Generici Non Valgono Più Nulla 

Il Green Marketing è sotto la lente d’ingrandimento della legge. Non sempre, infatti, la comunicazione green corrisponde a politiche imprenditoriali correlate, ed è qui che si configura il greenwashing: un’operazione di marketing che sfrutta i claims ambientali per veicolare un’immagine di attenzione all'ambiente non corrispondente alla realtà aziendale. Tale pratica attribuisce meriti ambientali non comprovati o non supportati da documentazione scientifica e metodologia di verifica adeguata

Con il decreto del 25 luglio 2025, il Tribunale di Milano (Sezione Impresa) ha introdotto una svolta significativa, fissando rigorosi limiti all’utilizzo delle dichiarazioni ambientali. La sentenza ha stabilito che i claims devono essere chiari, specifici e verificabili e ha ritenuto ingannevoli i seguenti messaggi generici, ordinandone l’inibizione: 

  • “Questa impresa rispetta alti standard di impatto ambientale e sociale positivo”;
  • “Ci impegniamo a seguire i più alti standard di sostenibilità, trasparenza ed equità”;  “La nostra filosofia si estende all’intera filiera, con fornitori locali a impatto zero”;
  • “Maglieria IMPATTO 0”. 

La posizione del Tribunale è pienamente in linea con la prassi dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), che ha sanzionato l’uso di asserzioni ambientali generiche (es. “circolarità dei prodotti”, “100% energia verde”, “zero emissioni”) quando prive di evidenze scientifiche. I giudici milanesi hanno inoltre precisato che anche le certificazioni di sostenibilità di natura privatistica godono della sola autorevolezza del promotore e non costituiscono, da sole, prova oggettiva e verificabile della sostenibilità dichiarata. 

Le dichiarazioni di responsabilità etica e sociale contenute in documenti come il Codice Etico o il Bilancio di Sostenibilità sono ormai assimilabili a claims pubblicitari. Di conseguenza anche il loro contenuto richiede una prova rigorosa della veridicità e l’implementazione di un sistema di controlli per assicurare al pubblico che quanto affermato rimanga vero nel tempo. 

 La Nuova Legge: Cosa Vieta la Direttiva UE e l’Aggiornamento del Codice di consumo 

L'orientamento giurisprudenziale sopra delineato anticipa la piena applicazione della Direttiva (UE) 2024/825 (ECFTGT), che, in vigore dal 2026, vieterà esplicitamente i claims basati unicamente su schemi di certificazione privata non riconosciuti, elevando la verifica scientifica e documentale a requisito imprescindibile. 

In Italia, il Consiglio dei Ministri il 5 novembre 2025 ha approvato in via preliminare lo schema di decreto legislativo di recepimento, con cinque mesi di anticipo rispetto al termine. L’intervento aggiorna il Codice del Consumo con regole stringenti per contrastare il greenwashing e garantire maggiore trasparenza e uniformità informativa a tutela di consumatori e operatori economici virtuosi. 

In particolare, il provvedimento si concentra sul contrastare due principali strategie ingannevoli: 

1. Slogan su prestazioni future privi di impegni chiari, obiettivi, pubblicamente disponibili e verificabili, stabiliti in un piano di attuazione dettagliato. 

2. Vantaggi ambientali irrilevanti o ovvi (come il rispetto di requisiti già imposti per legge) che non costituiscono un tratto distintivo dell'offerta. 

Questo quadro normativo mira a proteggere i settori produttivi più esposti – come moda e tessile – dalla concorrenza sleale, difendendo i produttori che investono concretamente nella sostenibilità. 

Trasformare la Compliance in Vantaggio Competitivo 

In un mercato in cui il consumatore è sempre più attento all’impatto ambientale dei prodotti e delle pratiche aziendali, la chiarezza e la verificabilità delle dichiarazioni assumono un valore competitivo determinante. Non conformarsi espone le aziende non solo al rischio di sanzioni, ma anche a un grave danno reputazionale e all'esposizione ad azioni legali da parte di concorrenti vittime di pratiche sleali. 

Gli interventi normativi sono un potente incentivo per rafforzare la credibilità delle strategie ESG e la fiducia del pubblico nei confronti del brand. Le imprese che integrano la sostenibilità in modo trasparente e documentato nei propri processi e nella propria comunicazione possono trasformare l’obbligo di correttezza informativa in un fattore di fiducia e di differenziazione sul mercato.

 

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